Il tema delle recinzioni, anche se minimo, è di grande interesse.
Per poterlo affrontare sotto diversi punti di vista, è bene innanzi tutto convenire su alcune definizioni. In seguito vedremo come dette recinzioni abbiano una diversa regolamentazione (in Umbria), in funzione della loro localizzazione e delle dimensioni che racchiudono.
Secondo la Treccani, la recinzione è: “Ciò che serve a recingere; qualsiasi struttura destinata a circoscrivere e chiudere uno spazio di terreno scoperto (palizzate di legno, siepi vegetali, cancellate e reti metalliche, recinti in muratura, e ogni altro tipo di delimitazione).”
Come si vede, il dizionario non fa molte distinzioni riguardo a altezze, tipologie, costruttive, materiali ecc. Né la recinzione sembra essere “schiacciata” sui limiti della proprietà fondiaria. Vi possono essere cioè delle recinzioni che non coincidono con i confini di proprietà.
Il legislatore umbro parla indifferentemente di recinzioni (art. 87 co. 5 lett. d) e art. 89 co. 2 della LR 1/2015), di chiudende (art. 118 co. 1 lett. g) LR 1/2015), muri di cinta e cancellate (art. 21 RR 2/2015).
Riguardo alle localizzazioni, il legislatore fa implicitamente una grande tri-partizione: Sistema ambientale, Spazio rurale e resto del territorio.
Nel Sistema Ambientale, all’art. 87, rubricato Aree naturali protette, si dice che, fino all’entrata in vigore del Piano dell’Area naturale protetta e del Piano del parco dei Monti Sibillini, sono vietati: “ [….]
d) la costruzione di recinzioni su zona agricola, salvo quelle accessorie per l’attività agro-silvo-pastorale e per la sicurezza degli impianti tecnologici e degli edifici;“.
Il successivo art. 89, nella Sezione riservata allo Spazio rurale, complica già le cose: “Nelle zone agricole è esclusa ogni forma di recinzione dei terreni o interruzione di strade di uso pubblico se non espressamente previste dalla legislazione di settore o per motivi di sicurezza, nonché a protezione di attrezzature o impianti per animali.”
Sembra dunque che nelle Aree Protette siano consentite recinzioni per pratiche agricole, silvestri, pastorali. E che siano consentite recinzioni per la sicurezza degli edifici. Non distinguendo gli usi, io propendo per una lettura estensiva, e cioè tutti gli edifici: abitazioni, stalle, rimesse, ecc.
L’art. 89 della stessa legge sembra invece limitare ai soli impianti per animali la possibilità di recingere eventuali edifici. Il che appare curioso poiché le Aree protette dovrebbero avere una normativa più stringente.
Rimane altresì poco definita la motivazione della sicurezza, che non essendo meglio specificata, apre una vertigine di possibilità. La sicurezza può infatti estendersi dalla sicurezza delle coltivazioni atto, alla sicurezza degli animali (o dagli animali), alla sicurezza degli operatori, alla sicurezza degli abitanti. Sul punto l’art. 87 era più chiaro.
Infine dobbiamo prendere in considerazione anche l’art. 118 della LR 1/2015, che prevede, senza titolo abilitativo, la realizzazione di “… chiudende e tettoie mobili con strutture aperte di modeste dimensioni per le attività zootecniche, ...”. Non sono fissati limiti di superficie per tali chiudende, né aspetti costruttivi o materici. Il legislatore umbro non offre altresì, nemmeno nel testo unico per l’agricoltura (LR 12/2015), delle distinzioni tra recinzioni e chiudende. La definizione del lemma che fornisce la Treccani serve solo ad aumentare l’ambiguità. Infatti la definisce come: “Riparo a orti o a campi coltivati, fatto di siepi o di pruni.” Mentre il legislatore umbro sembra farla afferire alle attività zootecniche. Altri dizionari, per estensione, la considerano invece come una recinzione di qualsiasi natura. Non è ben chiaro infine se le modeste dimensioni citate siano riferite alle strutture aperte o alle chiudende.
Passiamo poi al R.R. 2/2015, che presenta anch’esso criticità di lettura. Infatti, secondo l’art. 21 co. 3 sono opere pertinenziali eseguibili senza titolo abilitativo quelle che: “[…] non riguardino gli edifici di interesse storico – artistico o classificabili come edilizia tradizionale integra, di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 420 del 19 marzo 2007 (Disciplina degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’art. 45, comma 1, lett. b) legge regionale 18 febbraio 2004, n. 1 con il Repertorio dei tipi e degli elementi ricorrenti nell’edilizia tradizionale),” e quindi anche: [….] n) le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate che non fronteggiano strade o spazi pubblici o che non interessino superfici superiore a metri quadrati 3.000;”
Ne consegue per esclusione che in caso di edifici di interesse storico-artistico o classificati come Edilizia Tradizionale Integra ex DGR 420/2007 le recinzioni hanno bisogno di un titolo abilitativo, o meglio di una SCIA.
Mentre ci sono pochi dubbi sugli edifici classificati ex DGR 420/2007, un primo punto riguarda gli edifici di interesse storico-artistico. La norma non precisa meglio, quindi io propendo per gli edifici tutelati ex art. 136 DLgs. 42/2004.
L’articolo del Regolamento non richiama la LR 1/2015 e quindi teoricamente le recinzioni fino a 3000 mq sono possibili anche in zona agricola, contraddicendo l’art. 89 della stessa legge: “… Nelle zone agricole è esclusa ogni forma di recinzione dei terreni ….”
Come si vede, la materia, benché minima nel tema, era invece fonte di qualche difficoltà in fase di gestione ordinaria tra uffici comunali e tecnici. Bene ha fatto dunque il dirigente Angelo Pistelli a intervenire sulla materia con un chiarimento nella primavera del 2015, che riporto qui sotto. Il chiarimento è certamente servito a rassenerare i rapporti, anche se sarebbe auspicabile tuttavia riscrivere la norma in maniera più piana, forse anche riarticolandola per oggetto piuttosto che per titolo abilitativo.